Welfare aziendale: vantaggi, normativa e benefici fiscali per imprese e dipendenti

“Cura i tuoi dipendenti e loro si prenderanno cura della tua azienda.”

Queste sono le parole di una delle persone più ricche del pianeta: Richard Branson. Si possono scrivere interi volumi sul management e sulla gestione delle risorse umane che, più o meno rapidamente, giungeranno tutte alla conclusione che un dipendente soddisfatto genera valore per l’azienda e, di conseguenza, è uno dei principali fatto per avere successo.

Non a caso, negli ultimi anni ha preso sempre più piede il welfare aziendale sia per aumentare il benessere e la soddisfazione dei dipendenti ma anche per ottimizzare il carico fiscale aziendale.

Innanzitutto, il welfare aziendale è l’insieme delle iniziative che un’azienda mette in atto per migliorare la qualità della vita dei propri dipendenti. Queste iniziative possono riguardare aspetti economici, sanitari, culturali e di conciliazione tra vita privata e lavorativa. Per incentivare l’applicazione di tali pratiche, la normativa italiana si è evoluta rendendo queste forme di compenso accessorio sempre più vantaggiosa per le imprese.

La prima distinzione da operare parlando di welfare aziendale è tra l’organizzazione del lavoro ed i benefit.

Dal lato organizzativo, le principali iniziative riguardano la flessibilità dell’orario di lavoro, l’utilizzo dello smart-working, il servizio di mensa, eccetera. Tali pratiche, inoltre, stanno diventando parte del cosiddetto welfare obbligatorio ossia previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicato o dal regolamento aziendale.

Per quanto riguarda i benefit, occorre distinguere tra:

  • Fringe benefit, come l’uso di un’auto aziendale anche per motivi personali, buoni pasto o il rimborso per un abbonamento ai mezzi pubblici. Questi sono soggetti a tassazione se superano determinate soglie, poiché sono considerati parte integrante della retribuzione.
  • Flexible benefit, come i buoni per la palestra o il pagamento dell’asilo nido per i figli, che sono esenti da imposte e contributi se erogati a categorie omogenee di lavoratori. Per esempio, un’azienda che offre un abbonamento in palestra ai dipendenti potrebbe migliorare il benessere generale, ridurre lo stress e perfino aumentare la produttività.

I vantaggi fiscali, semplificando drasticamente il discorso, sono due:

  • Per le imprese, le spese di welfare sono detraibili. Ciò significa che l’impresa può ridurre il proprio carico fiscale, pagando dunque meno imposte, investendo nel benessere dei lavoratori;
  • Per i dipendenti, i benefit di welfare aziendale sono esenti e, pertanto, non vengono tassati come reddito da lavoro. In questo modo, i lavoratori possono beneficiare di vantaggi economici che non subiscono alcuna decurtazione fiscale.

La normativa italiana che regolamenta il welfare aziendale, sotto il punto di vista fiscale, risiede nell’articolo 51 (per i dipendenti) e negli articoli 95 e 100 (per le aziende) del TUIR. Tali articoli si riferiscono a 9 macroaree di servizi per i quali i lavoratori beneficiano di una detrazione totale IRPEF e dell’esenzione dei contributi INPS mentre per le aziende e prevista la deduzione del 100% delle spese dal reddito imponibile. I vantaggi, ovviamente, sono riconosciuti a patto che siano rispettate determinate soglie.

Il limite entro il quale i fringe benefit sono considerati esenti per i dipendenti è stabilito dal comma 3 dell’articolo 51 TUIR secondo il quale “Non concorre a formare il reddito il valore dei beni ceduti e dei servizi prestati se complessivamente di importo non superiore nel periodo d’imposta a lire 500.000; se il predetto valore è superiore al citato limite, lo stesso concorre interamente a formare il reddito”. Dopo oltre 20 anni dall’entrata in vigore dell’euro, tale limite è pari a 258,23 euro seppure tale soglia è spesso soggetta a variazioni.

Infatti, solo per il 2024, la legge di bilancio 2024 ha innalzato il limite complessivo a 1.000 euro per i beni ceduti e per i servizi prestati ai lavoratori dipendenti, nonché delle somme erogate o rimborsate ai lavorati per il pagamento delle utenze domestiche, delle spese per l’affitto della prima casa ovvero per gli interessi sul mutuo relativo alla prima casa. L’importo viene innalzato in presenza di figli fiscalmente a carico fino a 2.000 euro. Il superamento del limite di 258,23 euro oppure dei limiti fissati in deroga, comportano l’assoggettamento a tassazione dell’intero ammontare e non soltanto della quota eccedente.

Dal lato delle imprese, le spese sostenute per il welfare aziendale sono totalmente deducibili dal reddito d’impresa se rispettano i requisiti dall’articolo 51, comma 1, lettera f) del TUIR se sono “riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto o di accordi o di regolamento aziendale, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari”. Per la piena deducibilità, tali benefit devono essere destinati alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee ed essere regolati da contratti, accordi o regolamenti aziendali. Se le erogazioni sono di caratteri volontario da parte del datore di lavoro, trova applicazione il primo comma dell’articolo 100 TUIR il quale dispone che “Le spese […] volontariamente sostenute per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, sono deducibili per un ammontare complessivo non superiore al 5 per mille dell’ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi”.

"In un mercato sempre più competitivo, prendersi cura dei propri dipendenti è uno dei migliori investimenti che un'azienda possa fare per costruire un futuro solido e prospero."

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